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L’Om dal Formai

Mille anni fa. E’ giugno.
Innocenzo, un giovane di dieci anni che abita a Fevri, è felice di partire per l’alpeggio sullo Spinale. Questo monte, allora era di proprietà degli abitanti di Commezzadura in val di Sole.
La madre gli fa le ultime raccomandazioni, si salutano e si danno appuntamento per il 29 settembre. Dopo essere partiti, che era ancora buio, Innocenzo, suo padre e altri pastori di Favrio, Bolciana, Vigo, Coltura e Pec stanno per arrivare col bestiame allo Spinale.

Sul monte si apre un grande pascolo alpino. I fiori sono come tanti puntini gialli e i bovini come tanti punti neri nel verde dell’erba. Innocenzo, crescendo, vedeva di anno in anno rinascere l’erba. Sempre l’erba teneva testa alle mandrie e le mandrie tenevano testa all’erba.

Un giorno Innocenzo osserva stupito tre uomini che stanno per giungere alla malga. Poco dopo vede l’anziano capo malga discutere con loro. Il giovane pastore sentì. “voi ragolesi, ogni 29 settembre, giorno di S. Michele, come compenso per l’utilizzo di questo pascolo ci darete un uomo di formaggio! Questa è la nostra proposta, siete d’accordo?”. Qualche giorno dopo, sul dosso dei Fevri, davanti alle cattedrali di pietra del Brenta, convennero solandri e ragolesi. Percorsero in lungo e in largo i dossi e le buche dello Spinale e valutarono che l’erba era tanta e bella. Di comune accordo considerarono equo l’affitto corrispondente ad un uomo di formaggio. Una solenne stretta di mano suggellò l’intesa. Per diversi anni i solandri mandarono un uomo di statura media e non ci fu mai niente da ridire. L’affitto concordato, tanti formaggi quanto l’altezza di un uomo, era sempre riscosso puntualmente il giorno di S. Michele dagli abitanti di Commezzadura.

Innocenzo si alza presto. Ancora prima dell’alba riunisce le vacche da mungere chiamandole ad una ad una: “Mora… tee-tee…, toh-toh…, sal-sal…, ii-iih…”. Sempre ubbidiente agi ordini dei più anziani munge, pulisce la baita del latte, conduce la mandria al pascolo, prepara la legna…

Nel tardo pomeriggio osserva il casaro che sala, olia e gira le spresse. Rimane immobile davanti alle assi dove sono perfettamente allineate le forme e le conta e riconta come se fossero monete d’oro. Trascorrono i giorni e il suo tesoro cresce. Questa soddisfazione sempre lo ripaga delle fatiche della giornata.

Il pascolo dello Spinale è ampio, il latte tanto. Ogni giorno il fuoco scoppietta sotto la caldera, dando al latte la giusta temperatura che solo l’esperienza del casaro sa cogliere. Sotto lo sguardo attento di Innocenzo il casaro prosegue nel suo lavoro aggiungendo un pizzico di caglio e poi affrettandosi a mescolare. Innocenzo desidera intensamente imparare il mestiere perché un giorno avrebbe voluto farlo anche lui. Ascolta i consigli del casaro come se si trattasses di formule magiche da imparare a memoria: “Ricordate, bocia, che le mei en minuto en pù giù la caldera che n’an sa la scalera” (ricordati ragazzo, che è meglio un minuto in più giù nel….. che un anno sullo scaffale – della stagionatura), diceva il casaro, tramandando così i segreti della sua antica arte.

Il tempo di Innocenzo scorreva secondo i ritmi del lavoro in malga. Passarono così molte stagioni e, a fine estate, giunse nuovamente la data de pagamento dell’affitto. Anche quell’anno, come i trascorsi, arrivò in vista della malga il solandro. Già da lontano Innocenzo notò che quell’uomo era più grande del solito.

Man a mano che risaliva verso lo Spinale, l’impressione divenne certezza. Lo stupore e l’incredulità erano di tutti. Era un uomo altissimo, un vero e proprio gigante! I formaggi impilati non arrivavano alla misura. Nella mente di Innocenzo riaffiorò l’immagine del patto sancito al tempo della sua adolescenza. Questa astuzia non corrispondeva alla sua idea di equità e allo spirito originario dell’accordo. Il lavoro di un’estate stava per andare in fumo. Su tutti i volti sembrava trasparire questo pensiero. Un’occhiata di consenso spinse Innocenzo all’azione. Afferrata la roncola, con un colpo deciso accorciò il malcapitato.

Da allora i solandri non si fidarono più a mandare qualcuno a riscuotere l’affitto. Giudice supremo di quest’atto fu il Signore. Castigò i ragolesi facendo sì che ogni volta che avessero condotto il bestiame allo Spinale sarebbe sempre piovuto abbondantemente. Tuttora i rendenesi dicono che “quanchè i pàsa i Ragoi a nar en Spinàl coli vachi ‘l plof sèmpro…” (quando passano i ragolesi per andare allo Spinale con le mucche piove sempre).

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